Crisi del commercio di chi è la colpa? Non serve il capro espiatorio

Crisi, questa parola sembra il mantra di questi ultimi mesi.  Tutti parlano di grande crisi cercandone le cause nel costo dei parcheggi o nella banca che ha venduto azioni.  Sembra quasi un disco rotto che gira bloccandosi sempre al solito punto.  Cro ha drenato risorse e i parcheggi costano tanto.  Ma è veramente così?  Certo, non vi è dubbio che se una persona deve andare a spendere soldi preferisce, oggi, trovare sicuramente posto, non pagarlo, entrare e trovare più o meno tutto il necessario o tutto quello che vuole comprare.  Indubbiamente se una persona ha investito i propri risparmi in azioni, non solo della banca anche di qualsiasi altra azienda quotata in Borsa o ha affidato i suoi soldi a qualche gestore poco accorto, si ritrova a dover spendere il capitale corrente senza poter fare ricorso al risparmio.  Ma è veramente questo il problema? 

In questi ultimi due mesi intervistando varie realtà imprenditoriali e sindacali umbre per TeleTerni è uscita una verità leggermente diversa, sempre facendo la media chiaramente.  Orvieto in crisi? Spesso la risposta era, “guardate a Assisi, Spoleto, Terni, lì la crisi ha colpito veramente duro”.  Orvieto è un’isola felice?  Assolutamente no ma qualche dato deve far riflettere.  Come deve far riflettere la società digitale e apparentemente ecosostenibile che si sta creando giorno dopo giorno.  I depositi bancari medi vedono Orvieto fra le città prime in classifica in Umbria, addirittura seconda dopo Perugia.  Ciò non significa che la città sia ricca ma che c’è una forte propensione al risparmio e alcune rendite di posizione.  Chi ha investito in titoli BPB oggi si trova in una posizione di blocco, indubbiamente, ma permane il capitale corrente, cioè ciò che guadagna mensilmente, ecco spiegato perché il contraccolpo sull’economia, sempre stando ai dati ufficiali, non è stato così forte come si potrebbe pensare.

La seconda apparente stranezza di Orvieto riguarda il mercato immobiliare.  Anche in questo caso secondo i dati relativi al 2016, gli ultimi disponibili, dell’Agenzia delle Entrate, a fronte di un vero e proprio boom delle compravendite nel resto della regione, ad Orvieto abbiamo assistito ad un asfittico +2,2%.  In pratica mentre a Perugia e Terni si viaggia con percentuali superiori al 16% in città si va a scartamento molto ridotto.  Non solo, nel resto della regione i prezzi sono calati con un picco massimo intorno ai 2 mila euro, a Orvieto il top è sui 4 mila euro.  Anche per gli affitti commerciali vale la stessa regola, soprattutto nel centro storico.  Chi lavora soffre fortemente la crisi del commercio mentre il mercato degli affitti sembra non recepire tale difficoltà.

Ma allora la crisi non c’è?  No, la crisi c’è e sta incidendo drammaticamente sul tessuto commerciale della città ma le cause sono molteplici.  Non dobbiamo neanche andare a ricercare nell’on-line più di tanto visto che secondo i dati ufficiali, da cui bisogna partire, presentati recentemente, l’Umbria è in fondo alla classifica dei cosiddetti i-fashion con una percentuale dello 0,2% di acquisti on-line.

La crisi colpisce duramente nei centri storici per la sempre più difficile accessibilità, per il costo medio dei parcheggi, non solo a Orvieto, per la propensione all’acquisto on-line da parte della clientela tra i 18 e i 45 anni e per il cosiddetto pendolarismo dello shopping.  C’è poi la parte relativa alla Pubblica Amministrazione che spesso non tutela i negozi storici, utilizza il commercio come una sorta di bancomat , non incentiva l’accesso ai centri storici creando barriere invisibili ma tangibili economicamente.  Insomma anche 1 euro di parcheggio viene considerato come un costo in più dal cliente medio che nel centro commerciale trova parcheggi liberi, tanti negozi in un colpo solo, offerte e sconti e, magari, anche occasioni di socializzazione con feste, eventi e simili.

I commercianti sono innocenti vittime sacrificali? No, hanno le loro colpe.  Spesso non hanno capito per tempo dove stava andando il mercato, hanno provato a sopravvivere senza cambiare e seguire i gusti.  Facciamo un esempio.  I centri commerciali, anni fa, hanno iniziato ad essere aperti con orario continuato, senza riposo settimanale; i negozi di vicinato e le botteghe artigiane sono arrivate molto tempo dopo e spesso ancora oggi all’ora di pranzo sono chiusi.  I centri commerciali hanno deciso di aprire domeniche e festivi;  anche qui spesso i negozi sono arrivati a soluzioni simili dopo molto tempo.  Le fedeltà al marchio oggi esiste solo per le grandi catene che offrono sconti continui, card e raccolte punti.  Il piccolo negozio qui non può concorrere se non alleandosi, creando una rete e diversificando l’offerta.  La concorrenza sulla marca non si può affrontare e allora bisogna andare alla ricerca di brand esclusivi, di nicchia, garantire servizi accessori al cliente e soprattutto calore umano e cortesia.  Investire su eventi mirati, utilizzare il digitale, creare realtà commerciali più grandi magari mettendosi insieme, queste sono le prime risposte che secondo molti analisti si dovrebbero dare per aggredire il mercato.

La crisi a Orvieto c’è ma non è da ricercare solo additando due o tre problemi.  L’analisi è ben più complessa e investe l’intero circuito, come abbiamo visto, in particolare quello della domanda e dell’offerta che a Orvieto sembra avere delle specificità che non troviamo altrove in Umbria. Non è il risparmio bloccato a “uccidere” l’economia cittadina, certo non l’aiuta, ma forse la presenza di alcune rendite di posizione che drogano il mercato immobiliare rendendolo poco appetibile e costringendo gli operatori a politiche commerciali non concorrenziali nei confronti dei competitor locali e di realtà vicine come Viterbo, Terni e Perugia. 

Insomma non si può gridare alla crisi chiedendo che venga risolto solo un problema ma si devono affrontare tutti i punti critici per provare a invertire il trend, almeno un tentativo deve essere fatto prima di dichiarare la sconfitta e trovare il capro espiatorio, troppo facile e scontato.

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