Il nuovo Bollettino economico edito dal Centro Studi evidenzia molti punti deboli, ma i depositi nel 2017 hanno segnato +50%

Sabato 23 è stato presentato al Centro Studi di Orvieto il nuovo Bollettino sulla situazione economia e sociale dell’area orvietana.  E’ stata l’occasione per tracciare un profilo particolareggiato e puntuale della realtà orvietana

con numeri e dati, senza ragionamenti astratti.  Ne escono fuori alcune risultanze di rilievo che riguardano la demografia, la dimensione delle aziende, il livello dei depositi e la ludopatia come nuova emergenza.  Sono i punti nodali per riuscire ad analizzare forza e debolezza del sistema economico-sociale di Orvieto.  Il lavoro, curato da Meri Ripalvella e Antonio Rossetti, evidenzia una serie di problematiche collegate tra loro che non permettono al territorio di ripartire.  In particolare la demografia che conferma il dato accentuato di perdita di popolazione giovane con un contemporaneo aumento dell’età media di vita che significa avere, nel totale, una città “anziana”  e quindi poco propensa al rischio e pessimista sul futuro.

Rischio e dimensione delle imprese sono altri due punti focali da cui partire, soprattutto ora che sta iniziando una campagna elettorale che si preannuncia piuttosto violenta e con pochi contenuti seri, per costruire un progetto di rilancio.  La gran parte delle imprese orvietane sono micro, con un dipendente che spesso è lo stesso proprietario e hanno una scarsissima propensione a fare rete.  La questione della dimensione, infatti, in altre realtà territoriali si è superata grazie alla politica del distretto.  Esiste a Orvieto un distretto produttivo?  Questa è la vera domanda da porsi.  A parte qualche piccolissima eccezione non sembra che il territorio sia caratterizzato da produzioni tipiche.  Ovviamente da questo discorso si deve assolutamente tralasciare l’agricoltura.  Abbiamo poi quello che si è definitivo nel tempo il polo tecnologico.  Prima questo era guidato da Itelco, oggi potremmo individuare la leadership in Vetrya, come esempio di imprenditoria locale che ha scelto la strada del mercato e dell’internazionalizzazione spinta, e di Engineering, un colosso che ad Orvieto ha un sito produttivo di rilievo.  Ma la crisi Itelco non ha permesso

l’ulteriore sviluppo di aziende hi-tech; non solo anche la mancanza di infrastrutture tecnologiche prima che materiali, ha notevolmente rallentato un processo che poteva divenire sicuramente virtuoso e che invece si è notevolmente rallentato in questi ultimi anni.  Altri poli? La crisi del tessile prima e poi quella più generale dell’economia ha di fatto bloccato tali processi integrativi e la nascita di nuove realtà produttive di filiera.  Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi di tutti con un imprenditoria che arranca, non investe, fatica a reperire risorse sul mercato dei capitali e dal credito.  Qui torna ad innestarsi la questione demografica.  Ha un ruolo determinante in questa situazione anche l’età media degli imprenditori, spesso over 60 che mal si coniuga con le parole reti e investimenti.

Un dato che, invece, tende a sfatare la vulgata di una città che muore e in crisi è quello riguardante i depositi medi.  Nel 2017 c’è stata una sorta di cesura con l’andamento del recente passato con un aumento medio di 220 milioni di euro.  Insomma i soldi ci sono ma non vengono immessi nel circuito economico virtuoso.  E’ chiaro che il dato è quello medio, quindi non si può assolutamente asserire che ad Orvieto ci sia ricchezza, anzi, ma lascia stupefatti la quantità, così come ha lasciato interdetti anche i curatori e gli altri collaboratori del Bollettino.  A parziale giustificazione Rossetti ha spiegato che potrebbe esserci un certo timore nell’investimento classico in obbligazioni con parte della clientela delle banche che ha preferito monetizzare e virare su altre strade meno remunerative dal punto di vista degli interessi ma più tranquille.  Il rovescio della medaglia riguarda i prestiti che anche nel 2017 sono scesi di un ulteriore 4%.  Possiamo addossare ogni colpa alla crisi? Assolutamente no.  In realtà le interpretazioni potrebbero essere due; da una parte, e torniamo alla demografia, gli imprenditori, sono pessimisti sul futuro e preferiscono non investire in azienda, dall’altra ci potrebbe anche essere una evidente difficoltà nell’offrire garanzie collaterali a fronte di affidamenti, prestiti o mutui.  Per uscire da questo cul de sac la via più breve è il distretto e la rete, intesa come collaborazione tra più aziende, fino ad avviare una politica di merger così da creare nuove realtà più strutturate e in grado di competere meglio in campo nazionale e internazionale.

Il risultato sembra essere negativo con Orvieto destinata ad essere sempre più marginale nelle politiche regionali e non solo.  Ma si può invertire la tendenza rendendo attrattiva la città per le aziende, fornendo servizi adeguati e soprattutto investendo tempo e denaro sulle infrastrutture materiali e immateriali.  Uno scatto definitivo in avanti lo deve compiere anche la classe imprenditoriale orvietana che, abbandonando vecchi rancori e piccole invidie, deve puntare sulla rete di imprese e sulla creazione di un distretto che potrebbe coniugarsi perfettamente anche con le Aree Interne, fino ad oggi viste come distanti e opache, per sfruttare l’altro punto di forza della città, quello di essere cerniera tra territori e regioni diverse e unica porta dell’Umbria sulla direttrice infrastrutturale nord-sud.  Queste sono le nuove sfide di fronte a Orvieto tutta, destra o sinistra, centro o periferia, senza differenze altrimenti ancora una volta, si rischia di perdere il treno dello sviluppo e del rilancio, forse l’ultimo disponibile.

 

 

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