La Fondazione ci risponde, "serve riserbo per le iniziative poste in essere" ma le domande rimangono le stesse

E’ arrivata la brevissima nota al nostro articolo esclusivo relativo alla volontà di cedere in tutto o in parte la quota di CRO detenuta dalla Fondazione anche a terzi.

 

In relazione al comunicato diramato da alcuni organi di stampa circa la probabile uscita della Fondazione dal capitale CRO, il cda della Fondazione, in totale condivisione col consiglio di indirizzo della Fondazione stessa, precisa che le iniziative avviate dopo essere venuta a conoscenza dell’inizio del processo di fusione deliberato dal cda di CRO sono a difesa degli interessi della Fondazione, del territorio e della CRO; in questo momento è necessario mantenere il più totale riserbo sulle attività avviate, saranno forniti ulteriori chiarimenti quando questo non costituirà pregiudizio alle iniziative poste in essere a difesa di detti interessi.

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Siamo stati chiamati in causa ed allora bisogna rispondere.  Prima di tutto una precisazione tecnica, il nostro non è un comunicato, lo è quello della Fondazione, ma è un articolo, servizio, reportage, ma non un comunicato.  Detto questo tanto, per essere precisi, non capiamo di quali interessi del territorio e della CRO si parli.  In pratica vendendo le quote si fanno gli interessi di CRO e del territorio?  Sono punti di vista.  A noi ci sembra che uscire totalmente dalla banca significhi lasciarla sola mentre andare a trattare anche in maniera dura per la fusione avrebbe potuto significare rimanere nei processi decisionali della capogruppo, ma anche questi sono punti di vista.  Oggettivamente rimane il fatto che chiunque entri, fatta eccezione per Bari, si ritroverebbe nella stessa situazione della Fondazione.

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Una cosa è vera, la Fondazione andrebbe ad incassare dei soldi, ma quanti?  Ci risulta che CRO abbia presentato una proposta piuttosto onerosa ma dal 2006 ad oggi il sentiment intorno al comparto bancario è totalmente cambiato.  Sono cambiate le valutazioni, oggi gli istituti di credito comprano solo carta contro carta oppure ad 1 euro simbolico.  Oggi gli sportelli non sono più quel tesoro che si presentava in sede di trattativa come plus importante.  Insomma l’onerosità della richiesta potrebbe esserci tutta.  Manca, poi, la preventiva autorizzazione del MEF, che deve precedere qualsiasi comunicazione di esercizio del mandato a vendere anche a terzi.

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Ci sembra, poi, che non si risponda alle nostra domande e allora per chiarezza alcune le riproponiamo e altre le presentiamo anche se il ritorno alla riservatezza non ci fa ben sperare, ma tentar non nuoce:

  1. quando per la prima volta si è parlato di fusione con la Popolare di Bari?
  2. chi andrebbe a tutelare l’autonomia e la territorialità della CRO dopo l’eventuale cessione di quote?
  3. vendere oggi azioni di una banca è difficile visto il momento storico, perché proprio ora?
  4. cosa cambierebbe con un nuovo socio visto che coordinamento e controllo di CRO è già della POPBari?
  5. quale delibera del cda della CRO ha dato inizio al processo di fusione?
  6. Perché chiedere solidarietà contro la fusione smuovendo addirittura il vice-ministro Morando se poi si vuol cedere l’intera quota e uscirne totalmente?
  7. Quale sarebbe il piano di rilancio severo e impopolare e chi lo dovrebbe preparare?

 

 

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