L'affondo della Fondazione CRO, "ritiriamo il mandato ai nostri consiglieri nella banca"

La Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto ritiene necessario fornire chiarimenti in merito alla prospettata fusione della Cassa di Risparmio di Orvieto Spa in Banca Popolare di Bari, il cui inizio deliberativo ha origine dal CdA della CRO Spa, lunedì 19 giugno.  Alcuni interventi, letti in questi giorni sulla stampa, sembrano preoccuparsi più di approfondire da quanto tempo sia stata ventilata l’incombente fusione, che delle ricadute e dei danni che la stessa può procurare alla CRO Spa, alla Fondazione ed alla Città o alle possibili alternative.  Si insinua, inoltre, un atteggiamento morbido e poco proattivo, da parte della Fondazione CRO, sulla prospettata fusione.  Risponde a verità che i vertici della BpB abbiano, in passato, ventilato la possibilità di un efficientamento del Gruppo, attraverso una fusione per incorporazione di CRO Spa, ma di fatto mai è iniziato un vero e proprio processo e tantomeno un confronto con il Socio Fondazione che ha il 26,43% della CRO e la percentuale di blocco sulle delibere straordinarie.

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La Fondazione è stata ufficialmente informata dell’avvio del processo di fusione, dal partner di maggioranza, solo il giorno stesso, un’ora prima dell’inizio del CdA che avrebbe deliberato l’avvio della procedura di riorganizzazione del Gruppo ivi inclusa la fusione. In ogni caso, la contrarietà a tale prospettiva è stata immediatamente rappresentata.  Cosa diversa è dare l’avvio ad un percorso, di così grande importanza, in assenza di una formale proposta od anche di un incontro programmato nei giusti modi e tempi.  Su tale punto, è bene anche rammentare l’impegno assunto da BpB, e formalizzato negli accordi tra soci, sul possibile sviluppo di CRO, quale banca di riferimento del Centro Italia, sin dal lontano 2010. Ma, al di fuori dei canoni estetici, la cosa imbarazzante è stata la totale assenza di un piano, da cui fosse possibile valutare, in termini economici, sia i miglioramenti, sia le perdite che sarebbero derivate da tale operazione straordinaria.  I tre amministratori di nomina Fondazione, poche ore prima del consiglio in cui si è deliberato l’avvio alla fusione, hanno riferito, all’ente di emanazione, di non essere informati su tale volontà e che, soprattutto, nulla diceva in tale senso l’ordine del giorno, salvo poi presentarsi alla riunione, votando favorevolmente, in pieno disaccordo con la posizione della Fondazione, chiaramente comunicata. Per inciso, si rammenta che, per previsione statutaria, l’ordine del giorno è stabilito dal presidente, che dirige le riunioni.

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Ci si domanda, a tale punto, come si possa esprimere un parere, su un argomento così importante e delicato, senza conoscerne i dettagli e senza avere piena certezza degli effetti che un tale assenso comporta.  Relativamente alla proattività, si può garantire che la Fondazione si è mossa con assoluto tempismo, nel momento in cui, sebbene informalmente, è venuta a conoscenza della possibile proposta di fusione, attivandosi con i consiglieri di sua nomina, ai quali, si ribadisce, era nota la posizione dell’ente a difesa della CRO, quale entità autonoma rispetto al gruppo BpB.  Riassumendo, nulla era stato anticipato in ordine, non tanto ai particolari ed ai tempi dell’operazione che, almeno in quella fase, rientrano nell’autonomia decisionale degli organi amministrativi delle due società coinvolte, quanto piuttosto alle finalità strategiche del processo, alla sua preferibilità rispetto ad altre soluzioni, volte a rafforzare la stabilità patrimoniale delle entità interessate e, in generale, ai vantaggi prospettici per tutti gli stakeholders.  Se è vero che il ruolo delle fondazioni bancarie preclude l’ingerenza nella gestione operativa delle aziende conferitarie, è altrettanto vero che iniziative suscettibili di incidere sugli assetti proprietari possono, e debbono, essere materia di confronto tra gli azionisti di riferimento, ben in anticipo, nel caso di specie, rispetto al momento in cui l’esecuzione dell’operazione dovrà essere sottoposta al vaglio delle assemblee, in particolare allorché sussistano poteri di veto statutari; ciò non è avvenuto.

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Si evidenzia, così, che le risposte alla Fondazione, alla città ed al territorio possono essere fornite unicamente, oltre che da BpB, dal cda della banca e dal suo direttore generale. Si può presumere che, in quel breve spazio temporale, corrente tra il citato incontro e l’adunanza consiliare, gli amministratori siano stati in grado di valutare i notevoli vantaggi derivanti da questa operazione?  Ci si augura che tali aspetti positivi, ad oggi ancora ignoti, siano dimostrabili e misurabili.

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Per quanto detto, la Fondazione è costretta a precisare che gli amministratori, a suo tempo designati, non la rappresentano più nell’ambito della Cassa di Risparmio di Orvieto Spa, dovendosi intendere ritirato il mandato fiduciario agli stessi conferito.

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