L’opposizione, “no alla svendita del Castello di Montiolo, sì alla valorizzazione”

La maggioranza ha deciso di dare il via alla vendita del Castello di Montiolo facente parte del patrimonio della Fondazione Claudio Faina, e quindi del Comune di Orvieto, sulla base di una proposta di acquisto di un soggetto non reso noto. Noi, rappresentanti delle minoranze, ci siamo opposti non in base a ragioni di schieramento e rifiuti pregiudiziali, ma in base a precise ragioni, di metodo, di merito e di orientamento amministrativo generale.

  1. Problemi di metodo e di merito
  2. Non ci è stata fornita tutta la documentazione, che abbiamo reperito a tozzi e bocconi a meno di 24 ore dal Consiglio. Si voleva convocare il Consiglio per il 24 agosto, poi, a seguito delle nostre proteste, è stato spostato ma di soli tre giorni, appunto al 27, in un periodo in cui si dice sempre che ciò che si fa lo si fa perché molti sono distratti. In effetti non sono stati detti, perché in realtà non ci sono, credibili motivi di una qualche urgenza.
  3. Il dispositivo ignora palesemente il dettato dell’Atto costitutivo e dello Statuto della Fondazione. L’Atto costituivo all’art. 3 recita: “Lo stesso Comune dichiara …i beni rustici ed urbani a perpetuo servizio di detto Museo in quanto destinati in perpetuo al raggiungimento dei fini di pubblico interesse del Museo Claudio Faina: li dichiara comunque, inalienabili e permanentemente destinati al potenziamento del Museo Claudio Faina e permanentemente in gestione della Fondazione per il Museo Claudio Faina.”
  4. Dunque beni inalienabili. E a questa obiezione è stato risposto che siccome il Ministero dei Beni Culturali ha dato parere favorevole, allora la cosa è fattibile. Ciò che è palesemente erroneo, perché il parere del MIBAC nulla c’entra con un eventuale parere legale necessario alla certificazione di legittimità, utile ad impedire alla fine un eventuale contenzioso che potrebbe instaurare chi, tagliato fuori, vedesse leso un legittimo interesse.
  5. Ma anche “permanentemente destinati al potenziamento del Museo Claudio Faina”. E invece Sindaco e maggioranza hanno sostenuto con sicumera come minimo inopportuna che i soldi dell’eventuale vendita servono a ripianare il pesante (dicono loro) deficit di bilancio della Fondazione. Ciò che contrasta con il dettato dell’Atto costitutivo e dello Statuto. Come si supera questa questione non si dice o perché non si sa e non si vuol sapere o perché si sa ma si vuole far passare come inesistente in base ad una concezione di amministrazione padronale del patrimonio pubblico.
  6. È palesemente discutibile la via attraverso cui si determina la procedura di vendita e la determinazione del valore. Prima si cerca per vie private un possibile acquirente. Questi presenta una proposta di acquisto con una certa cifra. La Fonazione fa la proposta al Comune. Il Comune fa fare una perizia che sostanzialmente corrisponde alla cifra proposta dal privato. Si chiede il parere del MIBAc, che avendolo già dato altre due volte, pur sulla base di ben altra impostazione, lo conferma velocemente. Così l’Amministrazione, in accordo con il Comune di Castel Giorgio, decide di procedere a tamburo battente in piena calura estiva. Sembra un’operazione lontana dalla logica propria di enti che amministrano beni di tutti.

Il valore è calcolato in 804.000 euro, praticamente la metà del valore calcolato precedentemente. Dalla relazione si capisce la fatica di ricostruire il valore di questo immobile sulla base del valore di mercato, di fatto non essendoci mercato e si procede infatti con criteri differenziati a seconda della tipologia degli immobili. Ma è evidente che c’è una relazione con quanto prevede il PRG del Comune di Castel Giorgio, che nell’area prevede la destinazione a strutture turistico-alberghiere con operazioni pesanti di cubatura (P3, Aree turistico-Ricettive Alberghiere): incremento di cubatura previsto in circa 5.000 mc.

Dunque si vende a prezzi stracciati giustificati con il fatto del mercato fermo, ma con la prospettiva di una grande operazione immobiliare vista la destinazione dell’area.

Per non considerare poi tutte le possibilità di agevolazioni finanziarie pubbliche, che oggi sono di vario tipo e non si capisce perché non potrebbero essere condotte con logiche produttive senza svendere il patrimonio.

  1. Problemi di orientamento amministrativo
  2. Sindaco e maggioranza affermano che i soldi saranno usati dalla Fondazione per risanare il bilancio e aggiungono che ciò viene fatto sulla base di un piano che il CdA dell’Ente ha già predisposto. Ma a richiesta detto piano non viene reso noto. Come mai? Ecco, sembra che si tratti di questioni riservate e non invece esattamente il contrario.

Abbiamo chiesto per questo di sospendere la discussione, di rinviare di alcuni giorni, di convocare un incontro con il Presidente della Fondazione così da poter chiarire tutti gli aspetti che avrebbero dovuto essere chiariti in preparazione del Consiglio. C’è stato un netto rifiuto, e la solita accusa di strumentalizzazione. È evidente un modo di concepire l’amministrazione pubblica come cosa di chi comanda.

Noi non siamo pregiudizialmente contrari a cercare soluzioni serie, ma ci si deve dimostrare che sono appunto serie, trasparenti, produttive, inequivocabili. Niente svendite del patrimonio, ma valorizzazione del patrimonio.

  1. Appunto valorizzazione. Abbiamo fatto proposte alternative. Ne elenchiamo almeno tre.
  2. Valorizzazione singola, come parte integrante di un progetto pluriennale di risanamento e sviluppo del bilancio della Fondazione da gestire con logiche propriamente aziendali;
  3. Valorizzazione all’interno di un progetto di risanamento e messa a reddito del patrimonio pubblico del Comune a sua volta come parte integrante di un progetto di sviluppo del territorio orvietano in attuazione della strategia delle aree interne opportunamente rilanciata;
  4. Valorizzazione nel quadro di un ampio progetto di sviluppo territoriale intercomunale e interterritoriale da presentare alla Regione dell’Umbria nel quadro della partecipazione della Regione all’uso produttivo in termini di filiera enogastronomica, turistica e culturale, dei fondi europei del Recovery Fund.

Insomma c’è un modo diverso di affrontare il tema del risanamento e della messa a reddito del patrimonio. E non si dica che siccome non si è fatto fino ad oggi, non si può fare perché sarebbe perdere tempo e occasioni.

  1. Infine, abbiamo detto no al ritorno della politica delle svendite per risanare i conti. È una politica che pensavamo definitivamente chiusa, sia perché è sbagliata, fonte di guai e anche di pigrizia amministrativa, sia perché coloro che oggi la riaprono sono gli stessi che l’hanno già fatta quando gli conveniva e però tuonavano quando la facevano altri.

È una politica pericolosa, perché tappa i buchi solo momentaneamente e impoverendo il patrimonio, ma quasi sempre lascia in piedi le logiche di spesa improduttiva, il che permette di campare per qualche tempo, fare immagine con iniziative di lustro, ma appunto di fatto indebolisce il tessuto e dopo qualche tempo fa tornare a galla i buchi che c’erano prima.

Si vuole dunque ripetere ciò che abbiamo già visto? Abbiamo l’impressione che si sia deciso l’abbandono di ogni ambizione di rilancio del territorio e perciò si tenti con operazioni di svendita sottratte ad ogni controllo di attrarre ipotetici benefattori completamente slegati dalle caratteristiche e dai bisogni del territorio.

La fine che hanno fatto queste logiche da economia meridionale l’abbiamo già vista più di una volta.

Noi abbiamo l’ambizione di promuovere uno sviluppo da economia e società moderne e non di scivolare verso le aree arretrate più di quanto già non avvenga.

Franco Raimondo Barbabella, Federico Giovannini, Giuseppe Germani

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