IL quadrilatero che può assicurarci il diritto alla Salute

di Franco Raimondo Barbabella

Le crisi generali incrinano le certezze e ci mettono di fronte alle nostre responsabilità, soprattutto quando ci si rende conto che potevano essere previste. La crisi da coronavirus ha rivelato le fragilità individuali e quelle delle organizzazioni sociali e politiche. Non sappiamo ancora come ne usciremo, ma ormai il tema è appunto questo, non il se ma il come. E dunque è il caso di parlarne qualunque sia il nostro ruolo.

Ci sono aspetti di cui ci si dovrà occupare a livelli diversi, dal mondo all’Europa, dall’Italia all’Umbria e ai Comuni: le organizzazioni mondiali della prevenzione delle pandemie, dei vaccini e delle cure efficaci; l’Europa, di un piano strategico per gli eventi pandemici articolato per stati nazionali, oltre che di aiuti per gli stati membri, come viene fatto ora con il MES; l’Italia, oltre a compartecipare all’elaborazione di strategie, di mettere le mani su un sistema sanitario che ha dimostrato, pur con differenze regionali, di non essere in grado di garantire ai cittadini una protezione efficace se non a prezzo di pesantissimi sacrifici. Dell’Umbria e dei Comuni diremo tra poco.

Che cosa ci insegna allora la crisi da coronavirus? Anzitutto, di quale cultura diffusa abbiamo bisogno, cultura che possiamo indicare con alcune parole chiave: prevenzione, competenza, organizzazione, flessibilità. Ma ci insegna soprattutto che ci dobbiamo chiarire in quale direzione orientare le scelte, perché la massa di denaro che verrà mobilitata non deve essere sprecata per miopia, ripetitività di metodi fallimentari o scopi di parte e di potere.

Dunque, tentiamo di definire la griglia concettuale che dovrebbe guidarci. A me pare che la realtà ci indichi un quadrilatero da erigere a difesa efficace del nostro diritto alla salute: 1. no al centralismo sanitario; 2. si alla medicina di territorio; 3. collaborazione coordinata e controllata pubblico-privato; 4. forme funzionali di integrazione sanitaria territoriale interregionale. Su questa base, oltre all’Italia, ora parliamo anche di Umbria e di zone di confine come l’Orvietano.

Vedo che ci si sta precipitando a proporre soluzioni per l’ospedale di Orvieto. La più recente è quella di un “laboratorio di emodinamica e cardiologia interventistica”, ciò che può andare benissimo, ma meglio se inquadrata in una visione generale del sistema sanitario nazionale e regionale che la renda coerente con le altre scelte. Dobbiamo ragionare di nuovo in termini di progettualità, operativa sì ma con visione coordinata delle cose.

E allora torniamo a bomba. Diciamo no al centralismo in due sensi:

1. Non si pensi di poter tornare ad un governo centralizzato della sanità, sia nazionale che regionale, per sopperire alla frammentazione di poteri e alla confusione dei ruoli. Ci si chiarisca, ma pare evidente che bisognerà riorganizzare il sistema istituzionale per macroregioni funzionali, cioè superare i confini regionali per ottenere servizi territoriali ottimizzati a favore dei cittadini e non dei sistemi di potere;

2. Non si può ignorare che dove il sistema ha risposto meglio è accaduto perché la medicina territoriale non era stata smobilitata. Per cui è in questa direzione che bisognerà riorientare il sistema nel suo complesso. Bisognerà dunque riscoprire tante cose: le case della salute, il ruolo dei Comuni, la preparazione dei medici di medicina generale, l’assistenza psicologica di base, la formazione del personale sanitario, il ruolo educativo della scuola per gli stili di vita, il ruolo dei distretti sanitari, da sviluppare nel senso di una gestione molto più autonoma anche in termini di bilancio. Insomma, non si può ridurre tutto ad ospedale.

La rete di cura, in particolare ospedaliera, deve essere parte di questa strategia territoriale. Per questo l’organizzazione della rete ospedaliera regionale deve puntare molto sulla differenziazione di funzioni in modo tale che in ogni territorio ci siano le garanzie di assistenza secondo standard non più annunciati ma effettivamente praticati e insieme una funzione specializzata a seconda delle caratteristiche del territorio.

Ad esempio per Orvieto, se si dice emergenza-urgenza ci devono essere tutte le caratteristiche di questa funzione. E allora l’accordo tra Terni e Narni per una gestione coordinata dei servizi ospedalieri non può certo significare che si depotenzia Orvieto ma esattamente il contrario, con la conseguenza non solo che i pazienti di quest’area si devono trasferire altrove solo per interventi specialistici qui non previsti, ma che i servizi ospedalieri vanno organizzati per un ruolo interregionale.

Ecco il significato delle discussioni che erano in corso già prima di questa fase e che ora per forza di cose sono diventati oggettivamente più stringenti. Si è infatti percepita non solo l’assenza di una strategia rassicurante per spessore progettuale e credibilità funzionale, ma anche una certa mancanza di sensibilità istituzionale, quasi un tentativo di nuova emarginazione, intollerabile soprattutto in un momento di difficoltà come quello che la popolazione sta vivendo. Si deve rimediare con risposte immediate di ripristino delle funzioni sanitarie territoriali ordinarie. E nel contempo si deve progettare il futuro.

La spinta deve venire da qui, dalla comunità intesa in senso istituzionale e sociale. Una modalità credo utile per tutte le altre comunità della regione. Il governo regionale dovrà farsene carico. Insomma, noi dobbiamo chiederci dove va Orvieto dando risposte coerenti con un quadro di riferimento completamente mutato. Le altre comunità faranno altrettanto per loro stesse. E tutti insieme dovremo poi chiederci in modo propositivo dove va l’Umbria, cercando le migliori soluzioni. Per stare anche dentro la riorganizzazione del sistema-Paese, non solo sanitario.

 

Comments

comments

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*