BPB-CRO, riassunto delle puntate precedenti e possibili scenari futuri

La questione BPB-CRO è sotto la lente d’ingrandimento delle istituzioni locali, regionali e nazionali.  Si moltiplicano le voci di veloce cessione, di cambio della guardia e chi più ne ha più ne metta.  Proviamo a mettere un po’ di ordine nell’intera vicenda.

A Bari si sono insediati i commissari nominati da Bankitalia che ora dovranno rilanciare la banca e mettere in moto il processo virtuoso di ricapitalizzazione che gli amministratori precedenti non sono riusciti a innescare.  Si doveva partire con il nuovo piano industriale e la cessione di CRO ma fino al 13 dicembre, il venerdì nero di PopBari, non c’era traccia di mosse di questo tipo, come d’altronde non si riusciva a trovare un partner con cui unirsi per beneficiare dei crediti d’imposta approvati dal precedente governo proprio in funzione “salva-Bari”.   Ora i commissari non hanno il fiato sul collo del 31 dicembre con la chiusura del bilancio ma possono lavorare per il rilancio, il rafforzamento patrimoniale e il piano industriale per poi lasciare spazio alla nuova governance che vedrà come protagonista MCC controllato da Invitalia e quindi dal MEF. Ricordiamo che al 31 dicembre la banca avrebbe dovuto presentare il bilancio e i rumors indicavano cifre ancora più pesanti di quelle del 2018 con il rischio concreto che  Bankitalia facesse scattare il bail-in, cioè lo strumento di salvataggio che però “chiede” ad azionisti, risparmiatori e creditori di partecipare, entro certi limiti e condizioni, alle operazioni di emergenza.  Con la ricapitalizzazione gli obbligazionisti sono tranquilli mentre per gli azionisti il discorso è diverso anche se le possibilità di rivedere almeno parte dei soldi, in tempi medio-lunghi, ci sono.

In virtù del commissariamento anche tutte le decisioni prese dai precedenti amministratori possono ritenersi annullate o comunque sospese anche perché per potere avere un quadro definito le carte si devono assolutamente fermare, soprattutto se i commissari hanno intenzione di rivalersi sugli amministratori che li hanno preceduti.  Si allungano inevitabilmente i tempi per i possessori di azioni della Popolare di Bari che, però, non essendo stata intrapresa la via della liquidazione, non vedono persi i loro risparmi, fatte salve eventuali norme ad hoc per il ristoro totale e/o parziale che però il governo non ha preso.   Ora i commissari dovranno lavorare al rafforzamento patrimoniale, prima di tutto, per far rientrare BPB negli indicatori tecnici e poi dovranno resettare l’intero sistema di gruppo con un nuovo piano industriale.  I commissari hanno già comunicato che alla banca servono capitali per 250 milioni di euro che dovrebbero arrivare dal Fondo Interbancario ma non vi è alcuna emergenza per l’operatività complessiva della banca e della sua controllata, questo è bene ribadirlo.  Tornando ai risparmiatori, è chiaro che continuano a viaggiare autonomamente le cause giudiziarie già avviate e quelle future, ma sono strade, appunto distinte.

Per quanto riguarda la banca CRO, che non ha alcun problema e rientra pienamente negli indici patrimoniali, si moltiplicano le voci di un possibile passaggio in tempi brevissimi, ma i commissari non si sono pronunciati in merito e sicuramente ora l’operazione si complica soprattutto per la particolare attenzione che metterà Bankitalia nel merito.  SRI Group non è una banca ma un fondo e CRO è soggetta a coordinamento e controllo di Bari e la prima sfrutta tutti i servizi bancari della seconda, pagandoli.  Ciò significa che l’eventuale nuovo azionista di controllo dovrà presentarsi in Bankitalia con un partner bancario che assicuri a Orvieto tutti i servizi oggi assicurati dalla capogruppo.  Da Palazzo Koch il via libera arriverà solo dopo aver esaminato approfonditamente tutte le carte, tutti i bilanci e i numeri e, ne siamo certi, dopo il 13 dicembre e i fari accesi sul controllore da parte di media e politica, l’iter sarà tutt’altro che veloce e semplice.  C’è poi l’incognita Bari.  I 60 milioni assicurati da SRI servivano come il pane, anche se assomigliavano molto ad una goccia nell’oceano dei 420 milioni di deficit di bilancio del 2018.  Ora la spauracchio del 31 dicembre non c’è più e con la ricapitalizzazione pianificata da Bankitalia e governo non si è certamente fuori dall’emergenza ma i commissari hanno il tempo di esaminare e decidere senza avere il fiato sul collo degli organi di controllo nazionali ed europei.

Se poi si concretizzerà l’ipotesi di creare una banca d’investimenti per il Mezzogiorno magari si potrebbe anche allargare la competenza alle aree di crisi visto che purtroppo l’Umbria è indicata come la prima Regione del Sud per i numeri pesanti socio-economici che sono stati presentati da più organismi ed enti in questi ultimi mesi.

E Orvieto?  Qui entriamo nel campo delle ipotesi e non delle certezze, a partire proprio dalla vendita della banca.

La prima ipotesi vede appunto la cessione ad un gruppo che poi dovrà presentare un suo piano industriale e reggere l’impatto di un’area di riferimento economicamente depressa e fuori dai grandi gruppi che assicurano almeno economie gestionali.  Il primo banco di prova è sicuramente una Banca d’Italia, che deve dare parere vincolante, che oggi più che mai esaminerà minuziosamente ogni parte della proposta d’acquisto e il curriculum dei nuovi azionisti.  Il secondo è il piano industriale che dovrà anche fare i conti con la realtà di un comparto, quello bancario, che si presenta in sofferenza e il conto più salato lo stanno pagando i lavoratori, ultimo caso è Unicredit che ha presentato un piano con complessivi 8 mila esuberi.

La seconda ipotesi vede Orvieto continuare a lavorare nell’orbita di Bari, con o senza fusione, sicuramente con un nuovo management e con una politica industriale rinnovata verso la tutela e l’aiuto a famiglie e imprese in aree economicamente depresse (nell’idea del governo c’è la grande banca del Sud ma i numeri umbri sono pesantissimi e dal MEF potrebbero anche guardare con favore ad un allargamento del perimetro di riferimento includendo il Lazio e l’Umbria).  Probabilmente anche il nuovo piano industriale dei commissari sarà duro per il personale, un tasto mai toccato dai precedenti amministratori anche se con grosse tensioni nei rapporti con i sindacati.

Ribadiamo sono solo ipotesi senza alcuna certezza in merito però è giusto cercare di comprendere quali siano i possibili scenari futuri sia per i risparmiatori, sia per gli obbligazionisti che per famiglie e imprese del territorio che in questi ultimi giorni hanno espresso qualche timore sul prossimo futuro della banca orvietana.  Non ci sono emergenze in atto e future e i commissari ora lavoreranno ad un piano industriale che punti al rilancio di Bari e soprattutto a riportare valore, ma quest’ultima fase sarà lenta e non di breve periodo.  Per Orvieto c’è sicuramente attesa ma bisogna essere pragmatici e non farsi prendere da facili entusiasmi.  Certo poi è l’azionista di riferimento che dovrà decidere se vendere e Bankitalia dare poi il via libera al nuovo azionista di controllo o nuovi azionisti di controllo.   Nel frattempo i giudici devono accertare eventuali responsabilità e colpe per offrire il giusto risarcimento alle eventuali vittime di comportamenti illeciti, ma questa è un’altra storia, altrettanto importante ma che viaggia su binari diversi e distinti da quelli del futuro sia di CRO che di BPB.

 

 

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