Cro e Fondazione, la sfida è aperta ma il rischio è che perda ancora una volta Orvieto

Quale sarà il futuro di CariOrvieto? E i dipendenti? Ma soprattutto la banca di territorio e la Fondazione che fine faranno?  Sono queste le domande che si stanno ponendo la politica, le imprese, le famiglie, i risparmiatori che hanno acquistato le azioni di BPBari negli anni scorsi.  Gli scenari si vanno delineando anche se la nebbia ancora non si è del tutto diradata.  Bari è alla vigilia di importanti decisioni per la controllata CRO; tre alternative: rimanere fermi così, acquisire per incorporazione; cessione.  Nel primo caso rimarrebbe un minimo di indipendenza con la Fondazione che manterrebbe la sua quota di minoranza qualificata e i poteri di veto statutari oltre alla nomina di tre consiglieri nella banca con la presidenza.  La seconda opzione vede come punto di approdo la fusione per incorporazione, magari a tappe, con Bankitalia che potrebbe dare “l’aiutino” ad MCC chiedendo la fusione così come ha già fatto in passato ai tempi della famiglia Jacobini.  Allora la Fondazione disse di no per la valorizzazione della sua quota irrisoria.  Oggi?  I valori sono cambiati e anche chi si è offerto di acquisire il controllo si è fatto uno sconto corposo.  Come secondo scenario abbiamo la cessione, mai tramontata.  La nuova BPBari di certo chiuderà i prossimi due bilanci, almeno, in perdita e l’iniezione di circa 15 milioni di euro potrebbe dare sprint e accorciare i tempi del ritorno al “nero” nel bilancio.  Per ora sappiamo dell’accoppiata Argenthal-Gallazzi, con il finanziere emiliano come front-man e i francesi che mettono i denari.  Ma anche qui ci si deve affrontare perché l’attacco francese al sistema bancario italiano sta infastidendo la politica che potrebbe alzare le barricate e bloccare altre acquisizioni.  In ombra, meglio apparentemente in sonno, abbiamo i brianzoli guidati da Merati che si erano detti interessati.  Di più non si è mai saputo, neanche per quanto riguarda le cifre.  Indiscrezioni dicono di colloqui riservati con riferimenti umbri per avere una sponda locale.  Infine c’è l’ipotesi di un raggruppamento tutto umbro con le due BCC nominalmente umbre, Spello e Bettona (gruppo Cassa Centro) e Banca Centro (gruppo ICCREA), pronte a entrare in CRO, ma non si sa in che termini anche perché si tratta di unire SpA con cooperative, non proprio un processo semplice e poi con una tesa amministrativa non più umbra.

Qualcuno ha chiesto al territorio?  E la Fondazione?  Rischia di sparire?  La Fondazione potrebbe anche uscirne più forte e non più vincolata all’andamento della banca.  In realtà Palazzo Coelli è uno dei pochi esempi di Fondazione bancaria con in pancia una quota così cospicua.  Le altre, soprattutto quelle ricche, hanno fortemente diversificato uscendo, di fatto, dalle banche di riferimento territoriale.  E il territorio?  Nulla, sembra non interessare l’argomento come se CRO non sia più una priorità come lo era qualche mese fa.  E’ vero di mezzo è arrivata l’emergenza COVID, ma c’è chi invece, ha continuato a lavorare per interessi che potrebbero confliggere con quelli del territorio, e magari potrebbe anche averla vinta alla fine.  E ancora il personale?  Il sacrificio apparirebbe quasi scontato in qualsiasi ipotesi, in caso di fusione verrebbe seguito lo stesso schema del piano utilizzato per la capogruppo Bari; nel caso di cessione a Gallazzi e soci, hanno paventato un aumento di capitale per rientrare nei parametri, cosa non corrispondente al vero per il 2019, e quindi servirà un taglio delle spese per il personale.  Nel caso di fusione con altre banche il rischio sarebbe ancora più alto come dimostrano tutte le operazioni simili, altrimenti non ci sarebbe convenienza.

Andrea Fora, consigliere regionale civico, ha spiegato in un’intervista che ci ha rilasciato al TG di OrvietoLife, che “l’idea del polo umbro potrebbe essere quella percorribile”, ma, aggiungiamo, non è detto che sia congruente con le esigenze di un territorio.  Bari è disastrata?  Oggi non è proprio così.  Ha un socio forte nuovo, lo Stato, c’è un piano industriale costruito dai commissari nominati da Bankitalia e che ora verrà rivisitato dai nuovi vertici che sconterà le perdite, è chiaro, ma senza avere una gestione nebuolsa come nel passato, quindi con un traguardo che probabilmente non potrà essere più biennale vista l’emergenza COVID, ma almeno quadriennale per il ritorno al “nero” in bilancio.

Ecco la questione vera, il ritorno degli utili alla Fondazione.  Ormai da anni non ne vede dalla partecipazione più pesante in portafoglio.  Si tratta di attendere o di monetizzare la quota di minoranza qualificata e poi gestirla per il bene della città, magari chiudendo accordi con l’acquirente vantaggiosi per il territorio. Chi può assicurare accordi vantaggiosi?  Sicuramente un azionista forte, un gruppo teso all’attenzione verso le famiglie e le Pmi e non è detto che la territorialità, tra l’altro l’orvietano in termini economico-finanziari non può essere definito territorio, sia un vantaggio; servono prodotti ad hoc, personale attento, servizi a valore aggiunto dimensionati per la clientela tipica e un’interfaccia con il territorio nel senso sociale e culturale del termine che collabori con chi ha in mano le leve operative del credito.  Chi saprà cogliere il vero senso della sfida?  Chi capirà che deve assolutamente essere primario il vantaggio per Orvieto e il comprensorio e non gli interessi di altri territori limitrofi che hanno molto da guadagnare riducendo ancora una volta la città a territorio di conquista e vetrina verso l’esterno?  Ecco chi saprà rispondere a queste poche domande avrà fatto il bene di Orvieto, delle imprese, delle famiglie e del territorio.

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