Daniele Di Loreto, Fondazione Faina, ribatte punto su punto per la questione Montiolo. In commissione non si presenta la minoranza

Le attese per la commissione capigruppo di lunedì 12 ottobre dedicata alla questione della vendita di Villa Montiolo erano tante.  Nelle scorse settimane molti amministratori, ex-amministratori e associazioni hanno scritto fino a far arrivare l’intero problema al Senato con l’interrogazione presentata dalla senatrice Emma Pavanelli (M5S) al ministro Franceschini.  Il presidente Daniele Di Loreto si è presentato puntualmente ed ha ricostruito passo dopo passo l’intera vicenda fin dagli albori.  Il teorema da dimostrare, la giustezza della decisione di mettere in vendita la tenuta con la villa sita in Castel Giorgio per consentire alla Fondazione Faina di garantire la continuità gestionale dell’omonimo museo e dell’attività scientifica parallela.  L’intera ricostruzione è stata puntuale, precisa, ricca di particolari, tale da potersi formare un’opinione in merito.  Da sottolineare, invece, la totale assenza di consiglieri di opposizione, probabilmente i più interessati alla vicenda.  Insomma, nell’ultimo consiglio comunale dello scorso 30 settembre i consiglieri di opposizione sono stati particolarmente duri così come i comunicati stampa che i partiti hanno inviato.  L’occasione era ghiotta, avere il presidente Gabriele Di Loreto in audizione alla “capigruppo”, quindi pronto a rispondere senza mediazioni di alcun tipo.

Di Loreto ha spiegato che la Villa di Montiolo dal punto di vista immobiliare non è mai stata redditizia per la Fondazione Faina, diverso è il discorso per i terreni che in una prima fase hanno apportato utili ma oggi sono veramente marginali.  Nell’atto costitutivo era ben chiaro tutto, i beni immobiliari e fondiari erano nella disponibilità della Fondazione per sostenerne l’attività scientifica e museale e nell’atto testamentario è sottolineata come imprescindibile l’esistenza del museo.  La storia è complessa e Di Loreto ha ricostruito passo dopo passo con i documenti.  Partiamo dai conti all’interno dei quali, ha spiegato il presidente, pesano gli oneri passivi pari a 25 mila euro che non permettono quelle attività tipiche della fondazione.  Il bilancio è piuttosto ingessato e non per mala gestio ma perché la sostenibilità finanziaria dell’istituzione museo non può essere pensata in funzione della bigliettazione “tutti i più grandi musei al mondo chiudono in passivo, il sostegno arriva da altre fonti che non sono i bookshop e simili”, ha spiegato sempre Di Loreto.

Perché vendere Montiolo solo ora?

Di Loreto ha spiegato che in realtà la decisione di alienare le tenuta non è di ora bensì del 1989.  Nel ’91 si arrivò effettivamente alla stipula di un contratto di compravendita tra Fondazione e ItalCasa.  La società acquirente versò anche la caparra ma l’assegno successivo andò protestato e la Fondazione ebbe molte difficoltà per rientrare in possesso del bene.  Per la cessione era stato pattuito un prezzo di circa 1 miliardo di lire che attualizzato ad oggi equivarrebbe a circa 913 mila euro.

Ma da allora Montiolo si poteva anche valorizzare e non arrivare alla vendita?

Il presidente ha voluto sottolineare fin da subito che l’immobile non ha mai prodotto alcun reddito e anche in previsione sarebbe difficile ipotizzare con risorse della Fondazione un suo recupero.  “Secondo una stima fatta da professionisti in via ufficiosa, recuperare la villa servirebbero circa 4,5 milioni di euro, soldi che la Fondazione non ha possibilità di ottenere dalle banche anche per la mancanza di sostenibilità.  Ma la domanda reale è un’altra, quando si rientrerebbe dell’investimento e intanto come potrebbe la Fondazione rispettare i dettami cogenti del testamento e dell’atto costitutivo?

Perché si è arrivati alla vendita, non ci sono stati altri tentativi di valorizzare o alienare il bene?

La storia successiva al ’91, ha spiegato Di Loreto di fronte ai consiglieri della commissione capigruppo, è fitta di tentativi, tra aste pubbliche, progetti e prescrizioni di lavori strutturali.  “Successivamente al ’91 sono stati affidati numerosi mandati a vendere non esclusivi e nel ’95 il Comune di Castel Giorgio intima di effettuare lavori di sistemazione piuttosto importanti.  Poco prima dell’Anno Santo del 2000, precisamente nel ’97, ricorda sempre Di Loreto, è stato presentato un progetto per la costruzione di un ostello della gioventù.  I soldi non sono mai arrivati e il progetto si è arenato.  Nel 2005 la Coop Carli presenta un progetto per la creazione di un centro archeologico e anche in questo caso gli attori coinvolti erano numerosi.  Niente da fare anche in questo caso non giungono i fondi necessari.  Nel 2008 viene deliberata una nuova asta per la vendita, anzi sono ben due i tentativi e ambedue vanno deserti”.

Come mai l’ampliamento è stato deciso da poco e anche la perizia giurata è arrivata ad agosto?

Non ho mai risposto alle polemiche e alle tante fake ma ora è giunto il momento.  L’ampliamento è frutto del PRG intercomunale di Castel Giorgio, Castel Viscardo e Allerona risalente al 2009 che trasforma in edificabili i terreni agricoli, Da l’ deriva poi l’ampliamento.  Per quanto riguarda la perizia e le richieste al Mibac le tempistiche non sono quelle descritte.  Siamo arrivati al 4 agosto per le autorizzazioni ministeriali non per qualche oscura manovra.  La Fondazione ha presentato regolare domanda a marzo ma da allora sono cambiati tre dirigenti e c’è stato il covid.  La richiesta è stata approvata il 30 luglio, con l’ultimo responsabile insediatosi a giugno, e firmato il 4 agosto.  La perizia è stata redatta nei primi mesi del 2020 ma abbiamo atteso che arrivasse una reale possibilità di vendita prima di renderla giurata perché comporta dei costi.  Ora con l’asta prevista abbiamo la certezza che vi sarà un acquirente.  Chi ha presentato l’offerta a trattativa privata lo ha fatto per 780 mila euro poi con nostra apposita delibera e dopo la perizia abbiamo deciso una base di 830 mila euro, contro un valore massimo stimato di 850 mila euro, e il potenziale acquirente ha accettato. Il sindaco ha valutato che la procedura più corretta fosse quella dell’asta pubblica con diritto di prelazione per chi ha presentato l’offerta.  In questo modo abbiamo certamente una vendita anche in assenza di offerte e ricordo che il termine ultimo era il 3 ottobre da inizio settembre e non, come scritto, in piena estate come di solito si fanno gli affari”.

Daniele Di Loreto ha dunque precisato ciò che andava precisato e ha ricordato come nell’atto costitutivo e non nello statuto è riportata l’inalienabilità dei beni, ma “prima di tutto viene la continuità della fondazione e del museo”, ha così concluso l’intervento di fronte ai consiglieri della commissione capigruppo, quelli della maggioranza. Mancavano quelli di minoranza che avevano scritto, interrogato, gridato allo scandalo; un’occasione persa e la mancanza di contraddittorio è stata evidente per tutta la seduta senza alcun consigliere che provasse a confutare la tesi del presidente ma soprattutto per rivolgere quelle domande che nei giorni scorsi sono state ripetute quasi fino alla noia.

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